Stile delle opere dello scrittore russo
Dostoevskij nasce a Mosca, 11 novembre 1821 e muore a San Pietroburgo, 9 febbraio 1881 è stato uno scrittore e filosofo russo.
È uno dei cardini della letteratura e del pensiero ottocentesco. Il suo tipico scavo psicologico lucido e infuocato ha profondamente contagiato gli scrittori contemporanei ed influenzato il pensiero occidentale.
Dostoevskij appartiene alla corrente letteraria realismo russo. Il suo stile semplice, profonda attenzione per la caratterizzazione psicologica e sociologica dei personaggi raccontati, particolare cura per i dialoghi che esprimono ideologie e concetti morali differenti. Non ultimo, lo sforzo di inserire personaggi di ogni ceto sociale mostrando grande umanità per chiunque, indipendentemente da meriti, colpe, qualità.
Il canone del realismo è racchiuso proprio tra i migliori scritti della letteratura russa, tra le pagine di Dostoevskij, autore di libri da leggere almeno una volta nella vita. Uno degli scrittori più ‘veri’ della letteratura di ogni tempo e luogo ha una costante: il profondo interesse per gli ambienti sociali più umili. È un universo di “Umiliati e offesi” fatto di miseria quello che lo scrittore rappresenta, denuncia e indaga con tutta la partecipazione e sincera pietà di cui è capace. Nei confronti di piccoli impiegati, mendicanti, prostitute e personaggi emarginati mostra una sorta di impegno umanitario.

Il tema della libertà da ogni morale
Agli ambienti sociali più umili alterna intrighi, delitti, avventure, passioni intense, colpi di scena, crimini fondendo il romanzo d’appendice con il thriller novecentesco. Il realismo di Dostoevskij non vuole solo far riflettere ma stupire, scioccare, scuotere la coscienza del lettore andando oltre le convenzioni e la quotidianità.
Accusato di cospirazione per aver frequentato il circolo sovversivo dell’amico Petrasevskij, nel 1849 fu arrestato e condannato a morte, ma per grazia concessa dallo zar Nicola I la pena fu commutata in 4 anni di lavori forzati in Siberia. Questa esperienza lo segnò per sempre come uomo e come scrittore. Una volta scontata la pena, tornò a scrivere lasciandoci in eredità alcuni dei più grandi capolavori dell’Ottocento.
La sua impronta esistenzialista è caratterizzata dal tema della libertà da ogni morale.
“Se Dio è morto, se Dio non esiste allora tutto è lecito, tutto è permesso” afferma Ivan Karamazov. Ma c’è un “ma”: alla fine, l’uomo è troppo debole per vivere senza legge morale. I migliori libri dello scrittore russo, anzi dal primo all’ultimo, giungono a questa conclusione.
Più realisti di così si muore, con tutta la complessità della misteriosa natura dell’uomo con cui dover fare i conti.
L’inquietudine di Dostoevskij
I personaggi di Dostoevskij sono caratterizzati da una profonda inquietudine spirituale, tormento interiore, smarrimento, ossessione, tensione emotiva.
Coinvolgono a tal punto che il lettore ha come l’impressione di vivere o raccontare lui stesso le storie scritte da Dostoevskij.
Alcolisti, prostitute, contadini, operai, ribelli violenti, nichilisti: sono questi i protagonisti assoluti delle sue opere. In ognuno di loro, nessuno escluso, emergono sensi di colpa ma anche una ricerca di spiritualità grazie al libero arbitrio, alla libera scelta. Il suo è un percorso spirituale tormentato, maturato in una visione profondamente cristiana delle relazioni umane. Tanto che scrisse: “Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori dal Cristo, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità”.
Il genio Dostoevskij, la sua capacità di colloquio psicoanalitico, ha influenzato Heidegger, Bergson, ha anticipato Freud e perfino Nietzsche (con l’uomo del ‘sottosuolo’, senza radici).
Opere da leggere almeno una volta nella vita
1. Delitto e castigo
Il personaggio principale di “Delitto e castigo” è un nuovo tipo d’uomo, tutto preso da idee nichilistiche. Rodion Raskolnikov è un giovane moralmente ambiguo, che si permette di versare “sangue secondo coscienza”. “Sono una creatura tremante o ne ho il diritto?”, si chiede senza tante cerimonie, cercando di capire se è “un pidocchio, come tutti gli altri, o un essere umano”. Alla fine il ventitreenne uccide con un’ascia una vecchia signora che presta soldi, per fare il suo esperimento morale. Col senno di poi, il suo crimine si rivela peggiore dell’incubo più inquietante.
Dostoevskij non ha mai cercato di compiacere la folla. Era un vero originale che ha spinto i confini del genere, e anche delle aspettative e ambizioni umane. “Delitto e castigo” è il romanzo poliziesco più perfetto di Dostoevskij, con un tocco psicologico. Sappiamo fin dall’inizio chi ha ucciso chi, dove, quando, perché e anche come. Eppure, la domanda da un milione di dollari è quali sono le conseguenze esistenziali del crimine e come conviverci. Dostoevskij è convinto che senza farsi strada tra tentazioni e terribili disagi, senza scontrarsi con gli assoluti morali, sia impossibile pentirsi. Un uomo, secondo Dostoevskij, non è qualcuno dotato di ragione e logica, ma uno che va deliberatamente fuori di testa. Lo scrittore nutriva la speranza che Raskolnikov potesse espiare il suo peccato. “Diventate un sole e tutti vi vedranno. Un sole, prima di tutto, dev’essere un sole”, dice Porfirij Petrovich, incoraggiante. Per Dostoevskij, il perdono è possibile attraverso la sofferenza.

2. Lev Tolstoj – Anna Karenina
L’illusione di una felicità che non arriva mai.
Da molti venne pesantemente criticato, ma altri, Dostoevskij compreso, lo definirono come il capolavoro assoluto della letteratura del XIX secolo. A catturare la curiosità del lettore è la lunga, tortuosa ed intensa storia della protagonista indicata dal titolo, che lotterà fino allo stremo per un amore quasi impossibile.
Anna Karenina è una donna sposata che raggiunge il fratello Stiva a Mosca, per aiutarlo a convincere la moglie a non lasciarlo. Chiamata appositamente per riparare questo matrimonio, Anna finirà per rovinare il proprio: in stazione s’imbatte in Vronskij, un ufficiale dell’esercito che s’invaghisce di lei a prima vista, tanto da seguirla sullo stesso treno.
Tra i due comincia una storia d’amore che desta non pochi sospetti in Karenin, marito della donna. La conferma arriverà nel momento in cui Vronskij cade da cavallo durante una gara e Anna, spettatrice, non riesce a nascondere la preoccupazione.
Il corso degli eventi degenera: Anna e Vronskij, pur essendo usciti allo scoperto, sfioreranno più volte la felicità senza mai raggiungerla del tutto. Tolstoj muove così i fili di una protagonista tanto appassionata quanto incapace di gestire i sentimenti che la smuovono e finirà per suicidarsi tristemente.

3. I demoni
“I demoni” è un potente romanzo sulla tentazione diabolica di rinnovare il mondo, sulla possessione demoniaca da parte delle forze del male e della distruzione. Dostoevskij ha predetto la diffusione del nichilismo, del caos e dell’odio. Lo scrittore, che aveva trascorso quattro anni di duro lavoro in una prigione siberiana, si mostrò anche profetico, parlando di una futura società dominata dalla spionaggio, dove “ogni membro della società sorveglia l’altro ed è obbligato alla delazione. Ciascuno appartiene a tutti, e tutti appartengono a ciascuno. Tutti sono schiavi, e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c’è la calunnia e l’omicidio, ma l’essenziale è l’uguaglianza”. E ancora: “È necessario solo il necessario, ecco il motto del globo terrestre da ora in avanti. […] Ma gli schiavi devono avere dei dirigenti. Piena obbedienza, piena impersonalità….”
Dostoevskij era un uomo profondamente religioso, un cristiano ortodosso, che invocava il nome di Dio nelle sue opere a ogni piè sospinto. “Dio mi è necessario se non altro perché è l’unico essere che si possa amare in eterno…”, scrive Dostoevskij ne “I demoni”. L’immagine di un “demone affascinante” è stata creata da Dostoevskij con abilità artistica insuperabile. Nikolaj Stavrogin ha una mente eccezionale e un’anima ferita. È un antieroe, un uomo dai mille volti, uno psicopatico, un manipolatore e un donnaiolo seriale. Il filosofo russo Nikolaj Berdjaev considerava Stavrogin il personaggio immaginario “più misterioso” della letteratura mondiale.

4. Memorie dal sottosuolo
Nel 1863, Dostoevskij scrisse quello che sembra essere il primo romanzo esistenzialista, “Memorie dal sottosuolo”, il cui narratore imposta il suo tono straordinariamente acido fin dal paragrafo iniziale. “Io sono una persona malata… sono una persona cattiva. Io sono uno che non ha niente di attraente. Credo d’avere una malattia al fegato. Anche se d’altra parte non ci capisco un’acca della mia malattia, e non so che cosa precisamente ci sia di malato in me.”
Il principale filologo russo del XX secolo, Mikhail Bakhtin, definì questo modo di parlare dostoevskiano “parola con scappatoia” (“cлoвo c лaзeйкoй”): “Per esempio, l’autodeterminazione confessoria con scappatoia (la forma più diffusa in Dostoevskij) nella propria intenzione è l’ultima parola su di sé, la determinazione definitiva su di sé, ma in effetti essa conta interiormente su un’opposta valutazione di sé data in risposta da un altro. Chi umilia e condanna sé stesso, in effetti vuole soltanto provocare la lode e il complimento dell’altro. Condannando se stesso, egli vuole ed esige che l’altro dissolva la sua autodefinizione, e si lascia una scappatoia…”.
Questo libro è una confessione di un ex funzionario di San Pietroburgo e una storia filosofica sull’essenza della vita umana; un racconto tragico sulla natura dei nostri desideri e un dramma sul rapporto malato tra ragione e inazione. L’uomo del sottosuolo, privo di nome e cognome, discute con i suoi avversari immaginari e reali e riflette sulle ragioni delle azioni umane, del progresso e della civiltà. Paranoico, patologico, patetico, povero, è un solitario che ha paura di essere scoperto. Dopo aver letto “Memorie dal sottosuolo”, Friedrich Nietzsche (1844-1900) disse di Dostoevskij: “È l’unico psicologo da cui ho qualcosa da imparare”.

5. I fratelli Karamazov
Nessuno ha mai padroneggiato l’arte di porre domande su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato meglio di Dostoevskij. E quelle “domande maledette” sono quelle che davvero rompono il ghiaccio. “Cos’è l’inferno? Ritengo che sia la sofferenza di non essere in grado di amare”, scrive Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov”, il suo ultimo romanzo con una trama da giallo (chi ha ucciso il vecchio padre?), ma dove i temi trattati con grande profondità sono fede, libertà e famiglia.
Dostoevskij scruta l’anima di ogni personaggio, che si tratti del terribile Fjodor Karamazov o dell’emotivamente instabile Mitja Karamazov, dipingendo un ritratto piuttosto cupo dell’uomo russo. Perché i personaggi di Dostoevskij subiscono trasformazioni metafisiche rivoluzionarie solo quando si trovano in condizioni estreme, tra la vita e la morte, in caduta libera morale? Forse, perché solo in questo momento decisivo finalmente si guardano onestamente per la prima volta per produrre un grido di disperazione.
Lo scrittore possedeva una mente “forense” e usava gli “istinti di base” e le debolezze dei suoi personaggi per spiegare la natura metafisica del mondo. Ne “I fratelli Karamazov”, un romanzo ben scritto con una splendida trama poliziesca, Dostoevskij esplora le sfaccettature etiche di una famiglia russa disfunzionale. Franz Kafka, grande fan de “I fratelli Karamazov”, ha definito Dostoevskij suo “parente di sangue” e non senza motivo. Nonostante siano russi al cento per cento, i personaggi di Dostoevskij sono universali in quanto pieni di angoscia, malizia e miseria, e sono determinati a passare attraverso l’inferno emotivo nella loro inarrestabile ricerca di libertà morale e fede. È un vero peccato che Dostoevskij sia morto avendo scritto solo la prima (e più piccola) parte de “I fratelli Karamazov”, che si sarebbe dovuto comporre di due parti.

Articolo scritto da Irene Fiorito Accardi