UN FIUME SEPOLTO A PARIGI

Sapevate che a bagnare la splendida città romantica non sono solo le acque della famosa Senna? Ebbene Parigi è in realtà attraversata anche da un secondo fiume, un suo affluente, la cui storia ha del curioso. Si tratta della Bièvre, un corso d’acqua che nasce a sud vicino a Guyancourt e sfocia all’incrocio tra il V e il XIII arrondissement di Parigi sulla Senna, precisamente all’altezza del Jardin des plantes. In era neolitica scorreva visibilmente lungo la riva sinistra del fiume Senna mentre oggi lo ritroviamo parzialmente sepolto. Ma perchè?

Il motivo per cui è stato successivamente ricoperto è spiegato dal fatto che la sua zona di origine era estremamente paludosa, per cui in concomitanza con lo sviluppo urbanistico fu sottoposta inevitabilmente a bonifiche e trasformata in zona residenziale. La prima sua deviazione risale al XII secolo D.C. con il fine di alimentare le acque dell’Abbazia di Saint Victor. Nel 1579 subì una piena, l’acqua raggiunse i 5 metri di altezza straripando nelle aree circostanti e provocando svariate morti. In quel periodo il fiume veniva arginato solamente dai castori che lo popolavano, che poi scomparvero nel secolo successivo. Nella seconda metà del 1800 iniziarono le proteste per i cattivi odori che la Bièvre emanava, a causa del rilascio di rifiuti e scarichi di ospedali ed altre numerose attività che lo inquinavano, compromettendo di conseguenza l’igiene pubblica. Fu per questo che si decise nel 1860 di avviare i lavori di copertura.

Non solo! Subì un’ulteriore variazione del corso, più recentemente, affinché andasse ad alimentare le numerose fontane e vasche della Reggia di Versailles, come è possibile osservare tutt’oggi. Pertanto se vi capita di visitare la città di questi tempi, potrete notare che la Bièvre è visibile solo in prossimità della sua foce ma non nel suo estuario, poiché è stata canalizzata e interrata a partire dal parco Heller di Antony per quasi tutto il suo percorso e inglobata quindi nella rete fognaria parigina.

Articolo scritto da: Giada Domeniconi

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