Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, nacque a Roma il 3 gennaio 1929, figlio di Vincenzo Leone (1879-1959), regista e attore meglio conosciuto come Roberto Roberti, e di Edvige Valcarenghi (1886-1969), attrice attiva con lo pseudonimo di Bice Waleran.
Riconosciuto come uno dei registi più importanti della storia del cinema, negli anni Sessanta contribuì allo sviluppo del genere spaghetti-western, un filone del genere western di produzione italiana. A differenza del genere western classico, permeato di moralità e ottimismo, con una netta distinzione tra buoni e cattivi, nei film di Leone i personaggi sono degli antieroi, molto più cinici e spinti dall’interesse personale e da motivazioni economiche, con un maggior ricorso all’azione e alla violenza. Non esistono più i buoni e i cattivi nettamente distinti, i personaggi sono più realistici, rappresentando una sorta di dissacrazione della mitologia del West, operata oltretutto da non americani, uno dei motivi per cui, almeno inizialmente, il genere venne visto con diffidenza dall’altra parte dell’Oceano.
Dopo una breve comparsa nel capolavoro neorealista Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica, Leone iniziò ad interessarsi al genere peplum, genere di film in costume ambientati generalmente nell’antichità, soprattutto in epoca greca e romana, che avrà il suo momento di gloria soprattutto negli anni Cinquanta, grazie anche alle grandi produzioni hollywoodiane. In questo decennio operò soprattutto come assistente alla regia o direttore della seconda unità, anche in grandi kolossal come Quo vadis? e Ben Hur. Nel 1959 sostituì alla regia (non accreditato) Mario Bonnard nel film Gli ultimi giorni di Pompei, mentre nel 1961 ebbe la possibilità di girare il primo dei suoi sette film, che ora vedremo nel dettaglio.
Il colosso di Rodi (1961): unico film del genere peplum di Sergio Leone, filone in cui si era già fatto le ossa nel decennio precedente, narra le vicende di Dario (Rory Calhoun), eroe greco in visita allo zio Lisippo sull’isola di Rodi, capeggiata dal tirannico re Serse. Il protagonista si ritroverà coinvolto in un doppio complotto: quello dei ribelli dell’isola, che vogliono rovesciare il tiranno, e quello ordito dal comandante in seconda di Serse, Tireo, segretamente in accordo con i fenici per una prossima occupazione dell’isola.
Per un pugno di dollari (1964): primo film della cosiddetta “trilogia del dollaro”, è un remake non dichiarato di La sfida del samurai di Akira Kurosawa, che intentò una causa contro la casa di produzione Jolly Film venendo successivamente ricompensato con i diritti di distribuzione in Estremo Oriente e il 15% degli incassi a livello mondiale. Girato in Spagna con un modesto budget (la Jolly Film puntava infatti su un altro western, Le pistole non discutono), fu un grande successo di pubblico, mentre la critica ebbe pareri contrastanti, tra chi apprezzava le innovazioni portate da Leone e chi invece si soffermava sui paragoni con i classici western americani. Questa pellicola segnò l’inizio della collaborazione con il musicista Ennio Morricone, che comporrà tutte le colonne sonore dei successivi film di Leone. Nel film l’Uomo senza nome (Clint Eastwood) rappresenta l’archetipo dell’antieroe, mosso prevalentemente dall’interesse economico, ma che non manca di compiere gesti da “buono”. Egli si presenta in una cittadina al confine tra gli Stati Uniti e il Messico, dominata da due potenti famiglie, i Rojo e i Baxter, offrendo i suoi servizi ad entrambe, per ricavarne il maggior guadagno possibile e lasciare che si distruggano a vicenda.
Per qualche dollaro in più (1965): secondo film della “trilogia del dollaro”, venne girato sull’onda del successo straordinario di Per un pugno di dollari, con un budget di 600.000 $ e nuovi produttori, dopo l’addio di Leone alla Jolly Film. Girato prevalentemente in Spagna, ambientato tra il Nuovo Messico e il Texas, narra le vicende di due bounty-killer, il Monco (Clint Eastwood) e il colonnello Douglas Mortimer (Lee Van Cleef), che si trovano sulle tracce di un pericoloso e feroce assassino chiamato Indio (Gian Maria Volonté), intenzionato a rapinare la banca di El Paso: i due cercheranno quindi di unire le loro forze per catturare il bandito. Il film rappresentò un altro successo per Sergio Leone, e detiene il primato per i maggiori incassi al botteghino nella stagione cinematografica 1965-66.
Il buono, il brutto, il cattivo (1966): questo film chiude la “trilogia del dollaro” ed è considerata una delle migliori pellicole della storia del cinema. Dopo Per qualche dollaro in più Leone stava considerando di abbandonare il genere western, ma la United Artists spinse per la realizzazione di un altro film di questo genere, mettendo a disposizione un consistente budget, che raggiungerà il totale di 1,3 milioni di dollari. Ambientato durante la Guerra di Secessione americana, i tre protagonisti che danno il titolo al film si trovano sulle tracce di un tesoro nascosto in un cimitero, in cui si svolgerà l’epico triello finale, accompagnato dalla magistrale colonna sonora di Ennio Morricone. Per il terzo ed ultimo film nei panni dell’Uomo senza nome ritorna Clint Eastwood, “il buono”, mentre a Lee Van Cleef viene assegnato il ruolo dello spietato sicario Sentenza, “il cattivo”. Eli Wallach interpreta “il brutto”, Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez, vero mattatore del film, dei tre forse il personaggio preferito dal pubblico, di cui si viene a sapere anche il retroscena, da dove viene e perché ha deciso di fare il bandito.
C’era una volta il West (1968): sempre più deciso ad abbandonare il genere western, Leone aveva messo mano sul libro Mano armata di Harry Grey, in cui l’autore descriveva la sua esperienza durante gli anni del proibizionismo: da qui inizierà il travagliato percorso che porterà il regista romano a dirigere C’era una volta in America. Nel frattempo però a Leone venivano offerti solo copioni western, e quando la Paramount lo tentò con un budget generoso e la possibilità di scritturare Henry Fonda, il suo attore preferito, ruppe gli indugi e accettò. Sweetwater, un pezzo di terra vicino alla immaginaria cittadina di Flagstone, è al centro di interessi economici per il futuro passaggio della ferrovia in zona. Il terreno è di proprietà di Brett McBain (Frank Wolff), che ha intuito l’importanza del suo possedimento ed è intenzionato a trarne guadagno, stabilendosi qui con i figli e la seconda moglie Jill (Claudia Cardinale). Il magnate delle ferrovie Morton (Gabriele Ferzetti) manda lo spietato Frank (Henry Fonda) ad intimidire McBain, azione che degenera nello sterminio di lui e i suoi figli. A questo punto non resta che convincere Jill, la cui causa però verrà sostenuta dal misterioso Armonica (Charles Bronson), che sembra avere un conto in sospeso con Frank, che verrà regolato nel memorabile duello finale. Il film rappresenta un affresco della fine dell’epoca del selvaggio West e l’inizio dell’era degli affari e dei commerci su larga scala, simbolicamente rappresentato dall’avvento della ferrovia.
Giù la testa (1971): sempre intenzionato ad abbandonare il western per concentrarsi sulla realizzazione di C’era una volta in America, Leone pensò di affidare la regia a Sam Peckinpah, rifiutato però dai due attori protagonisti, James Coburn e Rod Steiger. Dopo un tentativo fallito per incompatibilità caratteriale con Peter Bogdanovich, Leone prese le redini del film, e i due attori principali accettarono un cachet ridotto per lavorare con il regista romano. Il film è il più politico tra quelli diretti da Leone, e si apre con una citazione di Mao sulla rivoluzione come “atto di violenza”. Ambientato nel 1913 durante la Rivoluzione messicana, il film segue le vicende di John Mallory (Coburn) ex-rivoluzionario irlandese ed esperto di dinamite, i cui destini si incrociano con quelli del peone Juan Miranda (Steiger), a capo di un gruppo di banditi a base familiare: i due si ritroveranno coinvolti nelle vicende della Rivoluzione, che in origine doveva dare il titolo al film (C’era una volta la Rivoluzione). Quest’ultimo titolo è rimasto nell’edizione francese, mentre in lingua inglese è conosciuto anche come A Fistful of Dynamite.
C’era una volta in America (1984): per quello che sarà il suo ultimo film Leone riuscì a realizzare il suo progetto di dirigere un film ambientato nel mondo dei gangster durante il proibizionismo. Basato sul romanzo di Harry Grey Mano armata, una autobiografia che il regista romano aveva già preso in considerazione fin dai tempi di C’era una volta il West, il film segue le vicende di un gruppo di gangster del quartiere ebraico di New York, soffermandosi in particolare su due protagonisti, David “Noodles” Aaronson (Robert De Niro) e Maximilian “Max” Bercovicz (James Woods). Attraverso l’uso di prolessi e analessi, il film si snoda tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del XX secolo, rappresentando un affresco soprattutto dell’epoca del proibizionismo. Nonostante la tiepida accoglienza del pubblico, soprattutto negli USA, dove il film era stato proiettato in ordine cronologico senza flashback e in una versione di 139 minuti, notevolmente ridotta rispetto ai 219 della distribuzione internazionale, il film acquisì negli anni una rivalutazione, che lo consacrò come uno dei migliori della storia del cinema.
Nel 1989, Leone stava lavorando su un progetto di film ambientato durante l’assedio di Leningrado, con una storia d’amore tra un giornalista statunitense ed una ragazza russa, ma il 30 aprile dello stesso anno morì, lasciando incompiuto il progetto.

Articolo scritto da: Federico Bedogni