Per la premiazione Oscar di quest’anno ho visto, cosa mai successa, tutti i film candidati a Miglior Film e li ho recensiti per voi. Si tratta di opinioni personali da prendere con le pinze, oltre ai voti “oggettivi” di Rotten Tomatoes. Vi ho messo anche dove andarli a vedere. Occhio a Belfast che è solo al cinema, ancora per poco
La cerimonia sarà nella notte fra domenica 27 e lunedì 28 marzo, in diretta su Sky

La fiera delle illusioni – Nightmare Alley
Bradley Cooper, Guillermo del Toro, J. Miles Dale
Lo trovate ora su Disney plus senza costi aggiuntivi, quindi non avete più scuse. È un film macchina perfetta, dove lo spettatore navigato sa già dopo dieci minuti cosa succederà al personaggio di Bradley Cooper. Ma questo non è un difetto, almeno per la mia sensibilità, anzi la consapevolezza di un destino ineluttabile accresce il senso di angoscia che è la forza del film. Peccato per il personaggio della psicologa, sottotono e per alcuni personaggi della prima parte, che avrei gradito vedere di più nella seconda parte. Nel complesso, non credo che vincerà il miglior film, ma lo ritengo superiore al tanto osannato La Forma dell’Acqua. Voti di Rotten Tomatoes: 80% dalla critica e 68% dal pubblico. Totalmente dalla parte della critica.
Don’t Look Up
Adam McKay, Kevin J. Messick
È stato nelle sale per poco tempo e non se l’è filato nessuno, ma quando è sbarcato su Netflix è diventato subito un fenomeno di massa divisivo. C’è chi lo considera una porcheria e chi una geniale opera di satira. Io mi colloco nel mezzo, ma propendo più per quest’ultima opinione. Il personaggio di Leonardo Di Caprio e la sua sottovalutata assistente (più brillante di lui, una Jennifer Lawrence molto in parte) scoprono una cometa destinata a distruggere la Terra in sei mesi, ma a nessuno frega niente, in particolare alla presidenza degli Stati Uniti. Il pregio è che spiazza e fa ridere, ma poi ti vergogni di aver riso, la cosa più divertente è il “dilemma degli snack” di cui non vi svelo niente se non avete ancora visto Don’t Look Up. Un altro pregio è che la presidente è una donna, ma è comunque “un’idiota”, più interessata ai propri tornaconti elettorali che alla salvezza della vita. Il messaggio appare chiaro, anche se non è il punto centrale del film: una donna al potere è auspicabile, ma non serve una donna qualsiasi, perché il tuo sesso non ti rende come caratteristica automaticamente una persona migliore. Nel complesso, però, lo ritengo un film leggermente sopravvalutato da chi lo osanna e troppo portato allo stremo. Non credo che vincerà, perché la gran parte del pubblico americano non ha gradito la propria rappresentazione sullo schermo. Il regista lo sapeva e se n’è fregato, tanta stima. Critica 55%, pubblico 78%. Sono più verso il pubblico, ma non completamente.
Dune
Denis Villeneuve, Mary Parent, Cale Boyter
Che cosa si può dire a Denis Villeneuve? Un’opera maestosa, l’inizio di qualcosa di potente, molto meglio del romanzo che, per quanto mi riguarda, ha una prosa davvero datata (com’è giusto che sia). Quasi tutto è perfetto, soprattutto Timothée Chalamet, che è esattamente come immaginavo Paul Atreides. Siamo di fronte a un personaggio giovane, dipinto come un nuovo messia, talmente perfetto e saccente che ti viene voglia di prenderlo a schiaffi a due a due, finché non diventano dispari. Non è il migliore fra i film in lizza, come vedremo, ma si merita tutti gli elogi. Voto della critica 84%, voto del pubblico di Rotten Tomatoes 90%. Ci sta.
Drive My Car
Teruhisa Yamamoto
Questo film è una delle due pellicole in lista per le quali il mio cuore batte maggiormente, un degno rappresentante del Giappone a questi Oscar. Compensa in minima parte il fatto che i due film d’animazione Belle e La Vetta degli Dei non sono riusciti neanche ad avere una nomination. Drive My Car ha alcune affinità di trama con Greenbook, un artista costretto ad affidarsi a un autista, grandi momenti in auto e un’amicizia che all’inizio appariva improbabile fra guidatore e guidato. Ma le similitudini finiscono qui, sono diversi i risvolti di trama (pochi in un film di tre ore), sono diverse le atmosfere: il protagonista è un autore e regista teatrale che deve superare alcuni lutti, il più recente dei quali è la morte della moglie. Il rapporto fra i due coniugi è indagato profondamente e a noi (che viviamo lontani dalla cultura giapponese) appare strano che non si siano lasciati da tempo. All’inizio, ad esempio, lui torna a casa da lavoro prima, apre la porta della camera da letto e vede la moglie darsi da fare con uno dei suoi amanti. Il nostro eroe non si fa sentire, richiude la porta in silenzio e va via, aspettando tranquillamente che la moglie abbia finito, anche perché lei ha ispirazione per le sue storie solo durante l’atto. Il giorno della morte, lei aveva detto per ultima cosa al marito “Dobbiamo parlare, quando torni a casa”. Spaventato, lui aveva perso tempo intenzionalmente prima di tornare a casa… Non sapremo mai cosa la moglie gli voleva dire, di certo sappiamo che questo film merita il pieno di riconoscimenti. Voto della critica 97% su Rotten e voto del pubblico 79% (sorprendentemente alto per un film così lento). Evviva la critica. Ora su Sky e NOW.
Belfast
Kenneth Branagh, Tamar Thomas, Laura Berwick
Il secondo dei film per cui mi batte il cuore. Un atto d’amore di Kenneth Branagh verso la sua città natale, cioè Belfast, per la pace, per l’infanzia e, infine, un atto d’amore verso il cinema. Infatti, è tutto in bianco e nero, tranne quando si vedono i film al cinema, che risultano a colori. La figura del protagonista, un bambino di nove anni di nome Buddy, è il risultato di ricordi del regista e di storie che ha sentito. La sua famiglia negli anni 60 vive in una strada di Belfast, che rappresenta tutto il mondo per Buddy, suo fratello e sua madre, mentre il padre (interpretato da un Jamie Dornan, che ha colto in pieno la possibilità di riabilitarsi dopo Cinquanta Sfumature) è sempre a Londra per lavoro. La famiglia di Buddy è di fede protestante e vive in pace con la minoranza cattolica della stessa strada. Ma purtroppo la pace di Belfast non è desiderio di tutti: una minoranza di protestanti facinorosi perseguita i cattolici, assaltando le loro case e i loro negozi. Ma anche Buddy e suo fratello sono in pericolo, il padre si rifiuta di unirsi ai belligeranti e il capobanda minaccia la vita dei suoi figli. Quindi ben presto arriva il dilemma: rimanere a Belfast, rischiando, o lasciare l’unico mondo conosciuto? Raccontato così sembra pesante, ma non lo è, ha momenti di delicata ironia. Questa leggerezza nel dramma l’abbiamo perché tutto è filtrato dagli occhi del bambino, la realtà sembra più semplice e dolce. Come dimenticare il primo amore di Buddy per una compagna di classe studiosa (cattolica) e i consigli dei nonni per conquistarla? Su Rotten c’è sostanziale accordo fra pubblico (92%) e critica (87%).
Licorice Pizza
Paul Thomas Anderson, Adam Somner, Sara Murphy
Come È stata la mano di Dio, anche questo film rientra a pieno titolo nella categoria “non è la mia cosa”. Riconosco la bravura di Anderson e mi dispiace essermi persa il piano sequenza iniziale, ma purtroppo, dal mio punto di vista, la trama fa acqua, come i materassi ad acqua che a un certo punto il protagonista Gary si mette a vendere. Il suo love interest è Alanna, una ragazza di 25 anni che all’epoca (1973) avrebbe dovuto essere già donna, sposata con figli. Invece va dietro a un ragazzino. La cosa non mi crea scandalo, ma la trovo piuttosto inverosimile. Anche perché Gary, che ha 15 anni, è del tutto uno sfigato, un attore e poi imprenditore pessimo. Invece di studiare come dovrebbe, si dà alle più svariate attività, fallendo. Di solito gli adolescenti sfigati hanno almeno una qualità che alla fine te li fa apprezzare: persino quella lagna di Dawson di Dawson’s Creek ha una passione forte per il cinema. Mi spiace, ma il personaggio di Gary non mi ha suscitato simpatia, molte volte che appariva in scena pensavo una sola parola: “cringe”. E anche lei l’ho odiata in molti momenti. L’amore fra loro rimane platonico, ma non sembra neanche amore, sembrano due persone che si usano. Mi spiace, perché non credo che Anderson volesse far passare questo messaggio. E poi i protagonisti corrono sempre, perché?? Vogliamo, poi, parlare del cameo di Bradley Cooper che, a mio parere, non aveva nessun senso, lui era solo una macchietta. Probabilmente rappresenta l’adulto che Gary non vuole diventare, ma non è quello che si percepisce. Detto questo, Licorize Pizza è comunque superiore alla maggior parte dei film che escono oggi e la nomination è giustificata. Se a me non è piaciuto, non vuol dire che non possa piacere a voi, è ancora in sala, recuperatelo. Voti su Rotten: critica 91% e pubblico 65%. Il pubblico sa il fatto suo.
Il potere del cane
Jane Campion, Roger Frappier, Emile Sherman
Un film diverso da tutto il resto, disponibile su Netflix. Indebitamente paragonato a I segreti di Brokeback Mountain, forse da chi non ha visto nessuno dei due, dato che il rapporto più importante fra il ragazzo di nome Peter e il cowboy scorbutico Phil non è certo di romanticismo, è qualcosa di più intricato e malato. A tratti paterno, a tratti da nipote/ zio, maestro/ allievo, dove il cowboy cerca di inculcare a Peter un concetto di mascolinità tossica, dal quale egli stesso è distante. Non è neanche un film western, le ambientazioni lo sono con indiani, cowboy e saloon, ma intanto siamo negli anni venti del Novecento, il sogno del West è tramontato da molto tempo. E poi Il potere del cane non segue nessuno degli stilemi tipici del genere. Il problema principale del film è il ritmo narrativo, il rapporto fra Phil e Peter che è il motore della trama si sviluppa solo nella seconda metà, dando l’impressione che nella prima ora si cerchi di accendere il motore di una vecchia auto. Nel complesso, un lavoro straordinario e se dovesse vincere non griderei allo scandalo. Non sarebbe stato male “asciugarlo” un po’. Voti di Rotten: critica 94% e pubblico 76%. Sono del pubblico.
West Side Story
Steven Spielberg, Kristie Macosko Krieger
Solo Spielberg poteva prendere un cult e fare un remake senza combinare un disastro. Il nuovo West Side Story è stata una gioia, mi ha fatto venire voglia di vedere il vecchio che non avevo mai preso in considerazione. Ogni tanto sentivo una canzone che conoscevo e dicevo: “Ma allora è da qui che viene”. Dopo tre mesi dalla visione ho ancora nelle orecchie Tony (interpretato dall’attore che per me sarà sempre Augustus di Colpa delle Stelle) che canta: “Maria, I just met a girl named Maria”. L’attore si chiama Ansel Elgort L’amore istantaneo nato fra Maria e Tony è impossibile, appartengono a due gang rivali che si contendono la zona di West Side a New York. Un Romeo e Giulietta più attuale con delle ingenuità a livello di trama. Per esempio, quando le due gang vanno all’incontro “chiarificatore” con le armi e si lamentano se ci scappa il morto. Uno dei morti in questione è il fratello di Maria, ucciso proprio da Tony. La ragazza scopre tutto, fa una scenatina al suo amore, ma poi lo perdona e vanno a letto insieme. Ora so che magari il fratello non era un santo, ma Maria dimostra un po’ di amore fraterno! La scenata che lei fa a Tony è la stessa che faccio io tutti i giorni al mio fidanzato quando respira troppo forte. E lui ancora non ha fatto fuori un mio parente. Realismo a parte, è stato bellissimo vederlo in sala, ora è su Disney plus. Voti Rotten: critica 92% e pubblico 94%. Potrebbe risultare un po’ noioso a chi non ama i musical.
Una famiglia vincente – King Richard
Will Smith, Trevor White, Tim White
Indubbiamente un buon film con una storia potente alla base. Anche chi non sa come sia fatta una racchetta da tennis conosce Venus e Serena Williams, ma la loro storia non era mai stata raccontata così. È come leggere Open di Agassi, ma con più coinvolgimento e dal punto di vista del padre. L’afroamericano King Richard (naturalmente, Will Smith) ha passato la vita a farsi pestare da bianchi ma anche da altri neri, in un contesto sociale degradato. Quindi, una volta cresciuto, ha preso la risoluzione di tenere le figlie lontane dalla strada, con un’educazione rigida (alla piccola Venus non è permesso nemmeno esultare dopo le sue vittorie) e un piano già scritto. Richard aveva già deciso non solo che le figlie sarebbero diventate stelle del tennis, ma anche precisamente come farlo. A noi bianchi privilegiati sembra facile giudicare Richard e se fosse un film Disney lui avrebbe imparato una lezione su lasciare liberi i propri figli. Ma ci sono due cose che dobbiamo considerare: uno che Richard ha avuto ragione e due che a un certo punto lui devia dai piani, lasciando a Venus una scelta che di fatto farà partire la sua carriera. Quello che non mi piace è che il film sembra una pellicola “confezionata”, un biografico sportivo che fa esattamente quello che ti aspetti, né più né meno, un compito in classe ben eseguito. E poi sembra che lo scopo principale non sia narrare ma vincere gli Oscar. King Richard ha molti temi cari all’Academy (importanti come il razzismo e il “farsi strada dal nulla”) e soprattutto è cucito su Will Smith. Non c’è niente di male se lui vuole un riconoscimento per il grande attore che è, ma non mi piacciono le “cose artificiali”. Lo stesso problema ce l’ho con il programma “Lol-chi ride è fuori”. Ci sono dei comici chiusi in una casa e chi ride due volte è fuori, di conseguenza i partecipanti si impegnano a far ridere. E tutto sembra dirti “ridi, ridi”, mentre invece preferisco quando un comico ti racconta una storia genuina, come se stesse parlando a un amico, e poi la risata ti viene naturale, come conseguenza della narrazione. Questo è il problema di King Richard. Non me ne voglia Will Smith, ma ci sono attori protagonisti che hanno fatto meglio di lui quest’anno come Denzel Washington (The Tragedy of Macbeth) o Andrew Garfield (Tick Tick…Boom!). Voti di Rotten: critica (91%), pubblico (98%). Sono comunque contenta di questi voti. Ora è disponibile in digital download a pagamento, sono dieci euro che vale la pena investire.
CODA-I segni del cuore
Philippe Rousselet, Patrick Wachsberger, Fabrice Gianfermi
Chiudiamo questa carrellata infinita (spero di non avervi annoiato troppo) con il film più “debole” fra quelli visti finora, ma anche uno dei favoriti a causa della tematica che invece è forte. Se vincesse, sarebbe un Oscar alla tematica, ma questa basta da sola a reggere tutto? Io non credo. CODA- I segni del cuore è un remake del film francese di pochi anni fa La Famiglia Bélier: parla di Ruby, l’unica persona udente in una famiglia di persone non udenti. Sono molto uniti, sono spesso anche “fuori luogo”, ma sono anche dipendenti fra di loro. Ruby si sente indispensabile ai suoi genitori e al fratello, perché li aiuta nelle loro comunicazioni nell’attività sul peschereccio e, inoltre, lei è il solo collegamento fra la sua famiglia e la comunità. Ma Ruby scopre anche di avere un talento, quello di cantare. Naturalmente la sua famiglia non può capire perché non sa cosa vuol dire ascoltare la musica. Il tutto ha i toni leggeri e gioiosi della commedia che è, ed è molto meglio del film originale, non è stucchevole, non ha momenti trash e il cast ha davvero attori non udenti, che sono stati tutti bravissimi (anche gli udenti). Sicuramente un film superiore a tutto quello che c’è di solito, che tratta il tema della disabilità (che mi tocca personalmente e tocca le persone a me vicina) senza pietismo e mega-drammi. Ruby in qualche modo riesce a far capire ai suoi il proprio talento. Purtroppo CODA non ha la levatura per competere con gli altri di questa lista, compreso Licorize Pizza che non ho molto criticato. Voti Rotten sostanzialmente concordanti fra critica (95%) e pubblico (93%). Trovate CODA su Sky e NOW.
Articolo scritto da: Cecilia Alfier