Le grotte di Altamira

La Cappella Sistina della Preistoria

Chi l’avrebbe mai detto che, grazie ad una bambina di soli nove anni, i manuali di storia dell’arte si sarebbero arricchiti di pagine e pagine?

Fino alla metà del XIX secolo la storia della cultura europea era quasi del tutto ignara dell’esistenza della pittura rupestre. Su di esse c’erano pochissime informazioni, poche testimonianze, che non venivano quasi mai considerate. L’umanità non era consapevole dell’esistenza di alcune forme di arte preistorica. Perciò la storia dell’arte era considerata tale a partire dalle statuette e dall’architettura primitiva.

Nel 1879, un dilettante archeologo spagnolo, Marcelino de Sautuola, si trovava a passeggiare, con la figlia Maria di nove anni, presso i Monti Cantabrici esplorando le grotte di Altamira.  All’improvviso, persa di vista la bambina per pochi minuti, sentì da lontano, provenire da una delle gallerie delle grotte, la voce di sua figlia urlare “Papà, papà, mira, toros pintados” (“Papà, papà, guarda i tori dipinti”). Quando Marcelino raggiunse la figlia, davanti ai suoi occhi si presentò uno spettacolo straordinario.

Tutta la volta della grotta era ricoperta da innumerevoli pitture rupestri. Nei duecento settanta metri di profondità delle grotte c’erano immagini di bisonti, di cavalli in varie pose e dimensioni, segni e simboli astratti. Tutto era stato realizzato con il colore rosso, nero e ocra. Era qualcosa di sorprendente, di meraviglioso.

Era stato tutto realizzato con una cura e un realismo tale, da far considerare, successivamente, la Grotta di Altamira, una sorta di Cappella Sistina della Preistoria.

I bisonti, così come gli altri animali, erano stati infatti rappresentati sfruttando le ondulazioni naturali delle pareti delle caverne per dare maggiore volume ad una o più parti del corpo. 

Oltre alle rappresentazioni di animali, nelle grotte, c’erano anche raffigurazioni di mani, alcune  immagini di mani piene altre, in negativo, cioè realizzate tenendo una mano contro la parete mentre la vernice veniva soffiata intorno ad essa.

La piccola Maria aveva scoperto qualcosa di sensazionale, di unico. 

Il padre, Marcelino, capì subito che non si trattava di un’opera moderna bensì di un capolavoro dell’arte preistorica. Per tutta la sua vita, fino alla morte, attese inutilmente che la sua ipotesi venisse accettata, cercando di provare a tutti che la pittura rupestre, trovata da lui e da sua figlia, risalisse ad un’epoca antichissima, forse la prima forma d’arte conosciuta in Europa. 

Le ipotesi che queste pitture rupestri potessero risalire all’era paleolitica, fu esaminata nel IX Congresso Internazionale di antropologia e archeologia preistorica nel 1880, tenutosi a Lisbona, dove dei delegati, guidati dall’archeologo francese Emile Cartailhac, esaminando le scoperte, respinsero categoricamente le teorie di Marcelino de Sautuola. 

Pitture di questo tipo non erano mai state viste e, accettare un’ipotesi del genere, significava stravolgere completamente e mettere in discussione tutte le precedenti scoperte e certezze.

La diffidenza degli studiosi era dovuta sia al fatto che pitture di quel tipo, fino a quel momento, non erano mai state viste, e sia alle tecniche artistiche, con le quali erano state realizzate, ritenute troppo complicate e avanzate per l’era paleolitica. 

Le scoperte di Sautuola vennero così screditate da tutti i più famosi studiosi e archeologi. Fu persino accusato di aver assunto dei pittori moderni affinché realizzassero quelle pitture. 

Solo più tardi, in seguito alla scoperta di esempi di arte rupestre in altre zone dell’Europa, tra cui in Francia, le precedenti dichiarazioni degli studiosi, sulle pitture di Altamira, iniziarono a vacillare e si riconsiderò l’idea della loro autenticità. 

Furono eseguiti diversi studi e analisi, tra cui il metodo del carbonio quattordici, che dimostrarono che le pitture erano autentiche e che risalivano all’età paleolitica, avevano quindi tra i diecimila e i ventimila anni.

Il celebre archeologo francese Emile Cartailhac, uno dei principali oppositori delle tesi di Marcelino de Sautuola, ammise il suo sbaglio e si scusò apertamente nel famoso articolo “Mea culpa d’un sceptique”, includendo una serie di scuse per Sautuola. Era però troppo tardi, Marcelino era morto senza aver visto le sue teorie confermate.

Questa grande rivelazione fece diventare le pitture rupestri di Altamira il vero punto di partenza dell’arte europea.

È stato dimostrato che, soprattutto per le raffigurazioni di animali, le pitture rupestri, avevano uno scopo di tipo magico-rituale. Rappresentando e prefigurando l’incontro con l’animale, il cacciatore immaginava di garantirsi, con un’operazione di magia, il successo della caccia, da cui dipendeva la sua sussistenza. 

Fissando sulle pareti l’immagine desiderata, si cercava magicamente di anticiparne l’azione, la si rendeva più reale, più possibile, la sua speranza si mutava in un progetto d’azione concreto.

Non si raffigurava qualcosa di accaduto, ma qualcosa che si desiderava e che si anticipava con il pensiero. 

La raffigurazione delle mani aveva poi un importante significato. 

Molto probabilmente indicava il possesso, la proprietà della caverna. Forse l’idea di rappresentarle era scaturita dall’aver visto, sul fango o sulla neve, la propria impronta. 

L’impronta significa che l’uomo, da sempre, ha sentito il bisogno di essere parte del mondo e di lasciare una traccia di sé, quasi come una documentazione, una testimonianza, per i posteri, della propria presenza.

L’opera d’arte nasce dal bisogno di esprimersi, di comunicare.

Articolo scritto da: Simona Signoriello

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