L’imponderabilia di Marina Abramovic
Quante volte vi è capitato di osservare un’opera d’arte contemporanea, un quadro, una scultura, un’installazione e di pensare o di sentire qualcuno dire…ma che cos’è? Che significa? Questa la chiamano arte?
Immagino spesso, molto spesso.
L’arte contemporanea per il solo fatto di essere completamente diversa, differente, altra, dall’arte dei grandi maestri del passato, ha sempre avuto sul pubblico un impatto forte, dirompente, straniante, spesso considerata senza senso, priva di un significato.
Prima però di giudicare, di criticare, di fare sterili paragoni con l’arte del passato, bisognerebbe pensare che, ciò che era stato fatto da Giotto, da Michelangelo, da Leonardo, secoli fa, era rilevante e adatto per quel tempo, per quel determinato periodo, per quella particolare epoca storica e per quel tipo di mentalità e di pubblico.
L’arte però non può, e non deve, restare ferma; è, e deve essere, sempre in continuo movimento, andare di pari passi con il tempo, deve essere lo specchio della società.
Con l’impressionismo prima e con l’arte astratta poi, l’arte iniziò a cambiare. Pian piano vennero meno quelli che erano da sempre stati i capisaldi e i canoni del passato fino ad arrivare, con gli anni, alla messa in discussione persino del ruolo dell’artista e dell’oggetto d’arte in sé.
Gli artisti iniziarono ad interrogarsi sul concetto stesso dell’arte e sul suo ruolo nella società.
Ma allora che cos’è l’arte? Tutti gli artisti contemporanei hanno cercato di rispondere a questa domanda, ognuno a suo modo.
La performance art, affermatasi come forma d’arte solo negli anni settanta, ci dà la sua risposta, la sua visione dell’arte.
L’oggetto d’arte non esiste più, non ci rimane nessuna opera fisica creata dall’artista.
La performance è un’arte in cui il corpo dell’artista fa sia da soggetto che da oggetto; l’artista non crea qualcosa al di fuori di sé ma diventa egli stesso un’opera d’arte. Di solito fa qualcosa con il proprio corpo, compie delle azioni che mettono alla prova i limiti della propria resistenza e della propria psiche, nonché la resistenza del pubblico che lo guarda.
Marina Abramovic con la sua performance art ne è un esempio e con “Imponderabilia”, realizzata in collaborazione con un altro artista, Ulay, ha cercato di analizzare il comportamento del pubblico trovatosi di fronte ad una particolare situazione.
La performance Imponderabilia, andò in scena il 2 giugno del 1977 presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna.
Marina Abramovic e il suo compagno Ulay, si disposero, uno di fronte all’altro, completamente nudi, all’ingresso di una delle gallerie. Il pubblico era dunque obbligato ad entrare nel museo passando in mezzo ai corpi dei due artisti. Il passaggio era strettissimo e i visitatori, per passare, dovevano scegliere se rivolgersi verso Marina o verso Ulay.
La performance sarebbe dovuta durare circa tre ore ma, ad un certo punto, venne sospesa da agenti della polizia perché ritenuta troppo oscena.
L’idea di Abramovic e di Ulay non era quella di creare scalpore, imbarazzo, fastidio, ma di studiare il comportamento del pubblico, il potere decisionale delle persone in un lasso di tempo brevissimo, nel momento di una scelta.
La maggior parte dei visitatori aveva preferito passare, tra i due corpi, rivolgendosi verso Marina, dando le spalle ad Ulay. Questo tipo di scelta è stata considerata come una decisione scaturita dal fatto che il corpo femminile è di per sé più bello di quello maschile, più armonioso. Altri visitatori invece, sempre in modo frettoloso, facevano la medesima scelta di chi li aveva preceduti nel passaggio, copiavano la scelta di chi era passato prima, forse per sentirsi meno giudicati.
I due artisti durante tutta la performance rimasero del tutto impassibili, non un espressione, non un movimento. Erano entrambi nudi ma, non erano loro a sentirsi in imbarazzo, bensì il pubblico. Era il pubblico che si sentiva spaesato e a disagio ma, allo stesso tempo, era diventato esso stesso parte integrante della performance; non stava solo assistendo ad una performance ma ne era parte attiva, ne era il protagonista.
La scelta di passare dando le spalle a Ulay o a Marina, le espressioni del volto dei visitatori durante il passaggio, il modo frettoloso o tranquillo di attraversare i due corpi, erano tutte azioni scaturite da qualcosa di non qualificabile o quantificabile.
Ci sono diversi fattori che entrano in gioco nel momento di una scelta che non possono essere sempre valutati e analizzati in modo appropriato, soprattutto quando, come in questa occasione il tempo a disposizione per decidere è molto limitato. Tutti questi fattori, questi elementi che sono alla base della decisione sono quindi “imponderabili” non misurabili.
Secondo Ulay e Marina però, spesso, sono proprio questi elementi imprevedibili che determinano molti e svariati comportamenti umani, quei comportamenti che ci portano a fare delle scelte, delle scelte anche importanti, scelte di cui dobbiamo portarne il peso e le conseguenze. La motivazione? Il più delle volte ci è ignota e forse mai la conosceremo.
E voi…? Verso chi vi sareste rivolti?Verso Marina o verso Ulay?

Articolo scritto da: Simona Signoriello