La seconda ricetta, che corrisponderebbe in realtà al livello uno, mi ha scioccata come un preventivo. Mi sono sentita come i concorrenti di Master Chef quando vedono spuntare Iginio Massari già alla seconda puntata. Naturalmente, è superfluo dire che durante tutta la preparazione, tendendo l’orecchio (ma non troppo), avrei potuto sentire il cuore del maestro fermarsi o spezzarsi, come nella scena dei Simpson in cui Bart mostra a Lisa la reazione di Ralph al suo rifiuto
Insomma la famosa ricetta impossibile del primo livello è quella dei biscotti alla camomilla, con tanto di glassa. Non ero assolutamente pronta per la glassa. Ho solo quasi trent’anni, la glassa è un passo troppo importante, sono ancora giovane. Col senno del poi, sapendo che Sofia Fabiani è pasticciera, non avrebbe dovuto stupirmi una ricetta dolce già da subito. Ma la verità è che la frolla è complicata, anche se è impossibile fisicamente che venga cattiva, proprio per i suoi componenti. Burro, farina, zucchero, un uovo, un po’ di sale, è come tua suocera: non può essere cattiva, è solo sproporzionata di tanto in tanto. Insomma, questo Incapacy 101 è impossibile come il primo livello del videogioco di Cuphead e gli amici gamer sanno bene di cosa sto parlando. Lì c’è un ortaggio gigante che mi uccide dopo 20 secondi, e qui lo stesso è sempre il cibo a uccidermi. Che la camomilla fosse complice era una pura circostanza. In Cucinare Stanca la Fabiani dice che si possono aromatizzare i biscotti con qualsiasi sostanza legale vi venga in mente. Con la penna ho cancellato la parola “legale”.
Qui non è come la pasta, la pasticceria è una scienza, quindi pesare le quantità è necessario. Questo vale per gli altri, naturalmente, io posso perfettamente andare a occhio, come quando faccio il pancake con gli ingredienti nella tazza della colazione. Pensavo che, semplicemente, sarebbe bastato ripetere l’esperimento in grande. In fondo il pancake era facile, bastava mescolare con energia gli ingredienti nella tazza e versare nella padella. I biscotti sarebbero stati veramente più difficili?
Il burro razzista e la vera camomilla

Sì, perché non mi mancava solo la conoscenza tecnica, ma anche gli strumenti, in particolare la planetaria. Che non è l’osservatorio delle stelle che ha cambiato sesso, ma uno strumento metallico a molteplici velocità, una macchina che ti risparmia la seccatura di impastare. Ho deciso subito che avrei fatto con le mie manine. Sono abituata a lavorare solo di mente, davanti a uno schermo, come molti di noi ormai e l’idea di affondare le mani nel burro e nella farina mi faceva divertire come una bambina. Così facendo, sapevo benissimo che non avrei mai rispettato i tempi della ricetta. Ma era solo una scusa, insomma non li avrei rispettati comunque. Volevo cominciare subito, ma non ho potuto. La Fabiani lasciava due strade: la più semplice era cominciare subito l’impasto, aggiungendo la camomilla come un normale ingrediente, mentre la seconda via (che in realtà era quella consigliata) consisteva nell’aromatizzare il burro con la camomilla. In uno slancio di narcisismo, ho scelto questa seconda. Cioè avete capito? Fino a ieri bruciavo le uova all’occhio di bue e ora volevo aromatizzare. Forse dovevo abbassare la cresta. Intanto ci ho messo 47 anni a capire che la camomilla non è liquida, ma che dalle bustine potevo ricavare fiori solidi con oli all’interno. La portata di questa scoperta è stata simile a quando ho scoperto che l’apparecchio radiofonico poteva cambiare canale. Sì, da bambina ascoltavo Radio 2 e non credevo esistessero altre emittenti. Sto divagando. L’aromatizzazione del burro ha ritardato di 12 ore la nascita dei miei biscotti, perché pare che il burro e la camomilla si stanchino molto durante il processo di integrazione e debbano riposare. Si sa che i processi di integrazione sono complicati, alcune molecole di burro avranno cominciato a protestare, anche se la camomilla è la cosa più tranquilla del mondo. Quindi c’era bisogno di raffreddare gli animi. Ma anche qui il problema è precedente al riposo. Ci volevano 150 grammi di burro che si dovevano sciogliere, ma non del tutto, in microonde. E qui casca l’asino, cascano tutti gli asini.
Avevo la mia bella confezione di burro da 250 grammi ancora da scartare e me ne sarebbero serviti ben 150, Ho tolto la carta, ma solo quel po’ che mi bastava da tagliare un pezzo che mi sembrava corrispondesse alla quantità richiesta, L’ho fatto nel tentativo di preservare la bellezza del burro, ma il tentativo non è riuscito, per niente. L’ho maltrattato come faccio sempre con le pizze, anche quelle già tagliate precedentemente dal pizzaiolo. Certe cose belle devono essere distrutte per fare spazio ad altre migliori. Oppure semplicemente devo stare più attenta quando taglio le cose. No, questa opzione non mi piace. Ho tagliato un altro pezzo e un altro ancora, ma a mio parere quelli non erano per niente 150 grammi, erano meno e poi non potevo certo cominciare un impasto con il burro già fatto a pezzi, l’aromatizzazione sarebbe venuta uno schifo. E allora, ecco il colpo di genio: ho messo i pezzi nel frigo per usarli in futuro e ho usato per la frolla la parte di burro che era rimasta intatta per il mio livello uno. Intelligente, no? Anche perché (secondo il mio occhio) erano più o meno 150 grammi. Ma purtroppo tutto è stato rovinato dalla mia mancanza di proprietà di linguaggio, ho scoperto di non conoscere la differenza fra “ammorbidire leggermente” e “scioglimento dei ghiacciai con intervento di Greta Thunberg”. Prima di mettere sopra al burro i fiori di camomilla, dovevo mettere il suddetto nel microonde, ma solo qualche secondo. Sofia specifica che non devono essere sedici anni, ma l’avvertimento non è servito.
Poi ho messo a dormire il lago di burro con la camomilla su un piatto dentro il frigo. Una piccola parte del lago mi è scivolata sul tovagliolo di sicurezza che stavo indossando. Il che è stato un male per il tovagliolo, che non si aspettava questo attacco, ma un bene per la mia ricetta (perché temo che quel burro fosse più di 150 grammi). Da qui in poi, tutto diventa molto sbagliato, ma con qualche cosa di giusta ogni tanto, come i lampi di lucidità di un morente. Tuttavia, il divertimento non è mai mancato. Innanzitutto non avrebbe dovuto il lago burroso alla camomilla non avrebbe dovuto riposare sul piatto, ma essendo liquido non c’era modo di avvolgerlo nella stagnola. E così dicendo mi sono lavata la coscienza. Solo qualche ora dopo ho realizzato che potevo comunque coprire il piatto con la stagnola o con lo stagno, trattandosi di un lago. Comunque la mia creazione stava già tornando allo stato solido, ma per tornare a essere burro avrebbe avuto bisogno di un buon psicoterapeuta.
Si è solidificato, ma sempre lago è rimasto…
Al contrario di me, il burro-lago ha riposato tutta la giornata (potente ‘sta camomilla, eh?). Alle dieci di sera l’ho tirato fuori e ho cominciato a lavorare l’impasto. A quel punto e solo a quel punto il burro mi è sembrato troppo, ma non sono ancora sicura che sia vero, non potrò mai chiederlo a nessuno visto che nessuno ha mangiato il risultato tranne me. Ho rimediato con generose quantità di farina. E poi la mia guru, Julia 2, dice che il burro non è mai troppo. Naturalmente, tutte le indicazioni per l’impasto si riferivano a chi utilizza la planetaria, ma se non altro ho rispettato l’ordine degli ingredienti. Per ultimo, l’uovo, che è la cosa di cui vado più fiera. Il libro non diceva uovo, ma tuorlo (ok solo trenta grammi e non tutto il tuorlo, ma pur sempre tuorlo) e io non avevo mai separato le due parti di uovo, non ci riuscivo. Per la carbonara mi sarebbe servito, ma mi limitavo a scrollare le spalle, dicendo “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Invece in questa sfida, mi sono fatta coraggio e solo la parte di uovo richiesta è finita nel mio impasto. In realtà non era proprio un impasto, era un casino, c’erano pezzi che sembravano frammenti di un pianeta in distruzione, che non si sarebbe mai ricomposto. Un pianeta decisamente troppo giallo. Speravo che il riposo notturno nel frigo avrebbe compiuto miracoli. Ma ancora una volta ho fatto riposare male l’impasto, dovevo metterlo su una piccola teglia, avvolta nella stagnola, invece ho scelto una ciotola di ceramica, cui l’impasto si è inevitabilmente attaccato.
Non avevo un vero mattarello in cucina, ma ho trovato comunque un oggetto di forma cilindrica che poteva benissimo essere usato come mattarello. Non c’è stata alcuna possibilità di testare il mio piano, né di fare i cerchi sulla frolla come forma del biscotto, usando i bicchieri. Nulla di tutto ciò, perché appunto al risveglio dal riposo nella ciotola non si voleva proprio staccare, come un qualsiasi umano la mattina. Alla fine, con l’ausilio di un coltello, l’impasto si è scollato, prima due pezzi piccoli e poi un corpo centrale massiccio. Ero felice e non sembrava nemmeno particolarmente arduo da masticare, ma di stendere la frolla e fare le formine non se ne parlava proprio. Figuriamoci, poi, avere la voglia di capire come fare la glassa. Prima di adagiare il biscottone e i suoi due fratellini nella teglia da forno, avevo avuto cura di usare la carta da forno, evitando uno degli errori classici del gruppo Facebook Cucinare-male. Ma ahimè, se solo avessi saputo quanto questa decisione mi si sarebbe rivoltata contro nei successivi venti minuti! Ben conscia del fatto che il timer del mio forno funziona solo quando lo decide lui, mi sono piazzata davanti al suddetto, dopo averlo riscaldato e aver messo la teglia. Avrei dovuto osservare bene la cottura per capire quando dire stop, ma è successo l’inevitabile: un lato della carta da forno si è alzato oltre il muro della teglia e mi ha impedito la visuale. Spegnere tutto e reimpostare la cottura era fuori discussione, non mi sarei certo bruciata (di nuovo). Così ho aspettato il tempo prestabilito, e, quando ho intravisto il bordo della frolla che si stava bruciacchiando, ho spento e sfornato. Non era come Sofia l’avrebbe voluto, sapeva solo di zucchero e soprattutto burro con un vago sentore di camomilla, non era elegante, la cottura non era uniforme e certo non potevo farlo mangiare agli ospiti. Però aveva il suo fascino e si sentiva che non c’era traccia di albume d’uovo. Ho mangiato tutto, a cominciare dai pezzi piccoli, come se non avessi mai mangiato biscotti in vita mia.

Articolo scritto da: Cecilia Alfier