L’argomento sostenibilità è sempre più presente nelle discussioni dell’opinione pubblica, un po’ meno l’ecologismo di facciata: il greenwashing.
Secondo Treccani il greenwashing è una << Strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo>>
Ogni fiera, manifestazione, azienda parla di prodotti, linee e servizi green, ma tutto ciò non implica sempre la verità e la trasparenza dietro agli slogan.
Questo fenomeno è presente anche nel settore dell’abbigliamento e della moda, industria tra le più inquinanti. L’inquinamento prodotto dall’industria tessile è un insieme di molti fattori e tocca non solo l’aspetto ambientale ma anche quello sociale. Il tessile produce molti scarti di lavorazione, sfrutta la manodopera a basso costo, impiega materie prime di difficile produzione e anche il lavaggio del prodotto finale porta al rilascio di microplastiche.
Non è un segreto che il fast fashion abbia una grossa fetta delle responsabilità dell’inquinamento causato dalla sovrapproduzione di capi d’abbigliamento. È nella sua stessa natura e definizione di moda veloce. Ma anche i colossi del fast fashion si trincerano dietro presunte iniziative green.
Cosa possiamo fai noi consumatori per riconoscere ed evitare la trappola del greenwashing? Innanzitutto si può notare come aziende famose per la moda usa e getta producano sporadiche collezioni falsamente amiche dell’ambiente. La mancanza di continuità può essere uno dei campanelli d’allarme più visibili.
Attenzione quindi a messaggi e slogan vaghi, che servono solo a dare una percezione di attenzione alle tematiche ambientali, come “prodotto con il 30% di poliestere riciclato” o “collezione interamente realizzata in cotone organico”. Attenzione a dati e cifre non verificabili (per esempio gli slogan qui sopra li ho appena inventati 😉) e a frasi che evidenziano in realtà obblighi di legge come se fossero iniziative dell’azienda.
Anche il prezzo può aiutarci: se troppo basso è indice di sfruttamento della manodopera. Ed è forse proprio qui che si può comprendere maggiormente perché il fast fashion abbia così tanto successo.
Una delle soluzioni può essere quella di comprare solo ciò che ci serve e che ci piace, evitando di acquistare dietro l’impulso delle tendenze. Cerchiamo, inoltre, di sfruttare al massimo un capo, prenderlo dall’armadio della mamma o cercare di ripararlo.
Nel nostro piccolo possiamo scegliere di affidarci ad aziende che siano veramente attente all’ambiente, in tutte le fasi di produzione, messa in circolo e smaltimento.
Ricordiamo che chi compra sceglie, ma si ha bisogno di una regolamentazione più attenta. Una delle difficoltà nei controlli è l’estrema vastità dell’area in cui si muove il settore dell’abbigliamento. Quasi sempre la produzione avviene in Asia e solo in un secondo momento il prodotto arriva nei negozi. Di conseguenza il problema della tracciabilità, della trasparenza e delle normative è a monte.
È capitato a chiunque di comprare un jeans di un brand fast fashion, ma questa deve essere un’eccezione e soprattutto chi compra deve essere il più possibile consapevole di quello che c’è dietro a quel prodotto e come evitarlo.

Articolo scritto da: Samantha Musolino