Il Diritto di poter dire NO
In Italia il 5 agosto 1981 con la legge 442 viene abrogato l’articolo 544 del Codice Penale: “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
Con questo articolo la legislazione italiana, fino al 1981, permetteva che il reato di violenza sessuale, commesso anche su una minorenne, potesse essere estinto se l’accusato e la persona umiliata si fossero uniti in matrimonio.
Atto del tutto impensabile oggi, fuori da ogni logica, contro ogni principio di libertà.
Purtroppo, però, fino a quasi 42 anni fa era così. Quando una donna veniva stuprata era quasi obbligata, costretta dalla società e dalla propria famiglia, a sposare il suo stesso aggressore, affinché si ripristinasse la reputazione dell’aggressore e l’onore della propria famiglia.
Franca Viola è stata la prima donna a dire NO, la prima vittima a non voler sposare il proprio carnefice.
Nata in un piccolo paesino della Sicilia, ad Alcamo, in provincia di Trapani, Franca Viola, all’età di diciassette anni, venne rapita dal suo ex fidanzato, Filippo Melodia, legato alla mafia.
Il ventisei dicembre del 1965, Filippo, insieme alla sua banda di amici, si presentò a casa Viola e dopo aver quasi distrutto la casa e aggredito la madre, rapì Franca.
Franca venne segregata in un casolare e violentata ripetutamente. Dopo dieci giorni, la polizia riuscì a scovare il nascondiglio, a liberare Franca e a ad arrestare Filippo e i suoi compagni.
Per tutti, dopo la liberazione e l’arresto, il vero problema non era tanto quello di punire il violentatore ma la compromissione del suo onore e della sua famiglia. Quell’onore ormai perso, o forse mai posseduto, sarebbe potuto essere risanato attraverso il matrimonio tra i due, tra la vittima e il suo aggressore, e così facendo la fedina penale di Filippo sarebbe stata totalmente ripulita, ne sarebbe uscito indenne, libero e pulito da tutto il misfatto.
Tutti credevano e avevano sempre creduto che il matrimonio fosse la soluzione migliore a quel “problema”, c’era persino una legge, l’articolo 544, che lo consentiva e, lo stesso Filippo Melodia, era fermamente convinto di poter appellarsi a quel famoso “matrimonio riparatore”.
Questa volta però successe qualcosa mai avvenuta prima.
Franca disse di no; con coraggio e fermezza si oppose a quel matrimonio. Era molto complicato ribellarsi nell’Italia di quegli anni, tanto più in quella Sicilia chiusa e tanto legata ai valori dell’onore e del rispetto.
Franca però non ci stava, si rifiutò di sposare Filippo. Ci voleva molto coraggio per rifiutare un destino simile ma lei non era da sola, ad appoggiarla e a sostenerla c’era suo padre, Bernardo Viola. Un uomo che per amore di sua figlia, rispettando le sue volontà, mise da parte il suo orgoglio e l’onore e si batté fianco a fianco con lei, contro tutto e tutti.
Infatti, insieme al padre, Franca intraprese una battaglia legale contro Filippo Melodia, una lunga battaglia che durò molti anni, una battaglia che mise in discussione persino il codice penale ma, alla fine del processo, finalmente Filippo Melodia venne arrestato e condannato ad undici anni di carcere.
Prima di Franca Viola mai nessuno si era ribellato, il matrimonio riparatore era da sempre stato visto come un ottimo compromesso, sia da parte della famiglia della donna offesa, che dell’uomo.
Una donna violentata cosa avrebbe potuto fare? Quale sarebbe stato il suo destino? Da tutti sarebbe stata bollata come “disonorata” “impura”, sporca, il suo futuro sarebbe stato quello di prostituta o di zitella, nessuno l’avrebbe mai potuta amare e sposare.
L’uomo violentatore, d’altro canto, aveva bisogno di essere riammesso nella società, avrebbe dovuto dimostrare il suo onore, ammettere il suo sbaglio con un gesto di “generosità”, e quale soluzione migliore se non il matrimonio riparatore? Entrambi avrebbero messo a posto le cose, tutto sarebbe tornato alla normalità.
Il matrimonio avrebbe ridato rispettabilità ad entrambi, all’uomo ma soprattutto alla donna.
Ma a che scopo? Perché sposare chi aveva fatto loro del male?
Come era possibile che attraverso un matrimonio “riparatore” lo Stato credeva di poter cancellare un’azione talmente riprovevole dalle menti e dalle vite delle donne che avevano subito violenze? Non era forse da tutelare la donna? Purtroppo no. Ciò che importava non era la donna, non si guardava al suo interesse, il matrimonio riparatore non intendeva tutelare la vittima bensì il buon costume sociale che andava difeso a discapito della libertà di scelta delle donne vittime di violenza.
Sarà solo nel 1996 con la legge n. 66 del 15 febbraio, “Norme contro la violenza sessuale”, che per la prima volta si affermerà nell’ordinamento giuridico italiano il principio secondo cui lo stupro è un crimine contro la persona, che viene forzata nella sua libertà sessuale e non contro il buon costume.
Sono passati quasi quaranta due anni dall’abolizione del matrimonio riparatore e solo ventisette da quando la violenza sessuale è stata giudicata come crimine alla persona.
Alcuni diritti, come questi, non sono solo il risultato di lunghe battaglie che nel corso degli anni donne e uomini intraprendono per ottenere dei cambiamenti, ma sono anche la conseguenza dell’azione di un singolo, di una persona, come Franca Viola, che per la prima volta ebbe la forza e il coraggio di sfidare un sistema arcaico fatto di valori e credenze e a dire…NO.

Articolo scritto da: Simona Signoriello