Questa è la storia di Valentina e Francesca. Una denuncia al sistema che coinvolge tantissimi giovani

La condanna all’esilio di due ragazze che vivono lontane dalla propria Terra

Questa è una storia.
Una denuncia.
Di Valentina,
Di Francesca,
Di tanti che, come noi, sono costretti ad andare via. Spero di dar voce a tutti voi.

“Piove. Sono in un treno colmo di gente. Mi sento sola.
Troppa gente mi attornia, nessun volto noto.
Mi guardo intorno, non riconosco nessuno. Volto lo sguardo al finestrino, mi perdo volontariamente tra le gocce di pioggia che si posano sui campi emiliani.
Il solito treno che mi accompagna dal centro città alla scuola di provincia in cui lavoro, è quasi sempre in ritardo.
Stamattina la sua puntualità mi lascia incuriosita, quasi stupita. Penso ai medesimi svantaggi urbani che dovrei subire se non lavorassi al Nord”


È un continuo confronto con le nostre origini, continua a ribadire Francesca, con le nostre abitudini.

La nostra intervistata, descrive quasi una lotta perenne tra mente e cuore. Quotidiana, ordinaria, nella sua forza brutale, aggressiva, tagliente.
Sono stata costretta dal sistema. Dallo stato. Dalle condizioni frustanti che vivevo a Napoli. Non avevo lavoro. Avevo due lauree e un master in tasca. Non avevo soldi. Avevo la mia famiglia accanto e ogni cosa bella che potessi desiderare, gratuitamente.
Non avevo speranze di miglioramento, avevo il cuore pieno di altro.
Non avevo voglia di partire, ma sono stata obbligata.


Quando domandiamo i motivi principali che l’hanno condotta a prendere la decisione di partire, Francesca risponde:

Ho studiato per realizzarmi. I miei genitori hanno fatto tanti sacrifici per questo. Mi hanno reso autonoma, indipendente. È questo non ha prezzo“.


Eppure le donne di oggi non dovrebbero mai accontentarsi.
La fame di giustizia, la consapevolezza di potercela fare e di dover dimostrare a se stessi che forse, lontano da casa, si può riuscire a diventare qualcuno.

Al nostro commento Francesca risponde annuendo, che il suo desiderio maggiore resta quello di diventare “forte come mia mamma”


Come ti sei sentita quando sei partita per la prima volta? Cosa hai messo in valigia?

Valigie piene di ambizioni.
Partiamo.
Quante volte mi sono sentita sola, ingabbiata nella routine di una terra senza familiarità. Non è il tempo che ormai ci passo, perché ciò che conta è invece dove ho sempre rimasto la mia anima. Corpo e anima non viaggiano insieme.
Circondata da amici stranieri, accentuo la condizione di alienità nel precariato del mio lavoro attuale.
Fame di crescita, iscritta ad ogni bando di concorso. Ma i posti disponibili di occupazione, in questo posto alieno, sono sempre raddoppiati. È una continua battaglia.
Poi vinci, ti rendi conto finalmente delle tue potenzialità. Questo posto non mi ha insegnato nulla, ma ha acceso dentro me la voglia di provarci costantemente.


I giovani lo sanno che per abbandonare Napoli, bisogna assicurare tanto.
E così si passa a sfruttare ogni possibilità, tempo e spazio. Ogni luogo però, sembra non dettare mai lo stesso calore partenopeo.

Continuando con le domande, poniamo la seguente a Francesca, “la lontananza la soffri quotidianamente?
Ora in compagnia di un’amica che vive la stessa condizione risponde:

Io, come Valentina, soffriamo ogni momento questa lontananza. Ci sentiamo estirpare diritti costituzionali senza possibilità di obiezione. Nessuno ha imposto il nostro esilio, “è stata una scelta per il futuro”.
Ma davvero credete sia così semplice per noi?
Sappiamo sorridere alla giornata e vivere di momenti gioviali, anche se più rari. La costruzione di una vita fuori dal nido familiare non è roba scontata. Assecondo ideologie differenti. Abbraccio tradizioni nuove.
Ma quante volte, poi capita di crollare. Di subire un contraccolpo, una reminiscenza di momenti ripescati alla memoria possono essere sufficienti a farci cadere.
Valentina, come me, sostiene che la mancanza dei suoi amici la sta dilaniando. Che subisce un’estraneità che non lascia spazio a rimedi.

Poi entrambe le ragazze ci salutano con gli occhi languidi e Valentina aggiunge:


Noi napoletani siamo fantasiosi, creativi; adoriamo sognare. Lo facciamo davanti al mare, al cospetto del Vesuvio. La nostra bussola infallibile, punto di riferimento inestimabile. Proviamo a fare lo stesso adesso, senza mare, senza Vesuvio. Non è lo stesso.
Cerchiamo di tramutare ogni emozione negativa in gratitudine “perché stiamo lavorando”, “perché siamo comunque fortunate”, “perché riusciamo a fare ciò che vogliamo”, “perché ci possiamo permettere quest’esperienza”.

Capiamo bene che non è quello che provano le due giovani, ma quello che si raccomanda ogni volta solo per auto illudersi che le cose andranno meglio.

Esatto- riprende Francesca- noi napoletane abbiamo bisogno del nostro sole, della nostra gente, dei nostri cari.
Valentina sottolinea che alcuni giorni si sente talmente giù d’umore che teme di rinunciare alla carriera, per tornare tra le braccia della sua procreatrice.
Noi non siamo al sicuro.
Noi lavoriamo ogni giorno come tutti voi, ma in un posto che non riusciamo ad accettare.
Contiamo i giorni che ci separano da Napoli.
Contiamo quelli che mancano per riabbracciare i nostri fratelli, per mangiare i taralli sugli scogli di Mergellina e fare un tuffo nelle acque del golfo. Ascoltiamo le note di Pino Daniele immaginando di camminare sul lungomare di Pozzuoli. Assaggiamo il sapore di piatti ingannando il nostro palato, come si trattasse di una delle pietanze che più bramiamo.
Ogni giorno, ogni momento, in ogni luogo tempo e spazio, io e Valentina, preghiamo, come tanti, tantissimi giovani, affinché questo viaggio finisca presto per poter sentirsi nuovamente a casa.

Le due giovani lasciano la sala dell’intervista con un appello di speranza:

Quella casa che ci manca oggi e ci mancherà sempre, perché non ci si abitua mai a vedere il Vesuvio che scompare in lontananza.
Il cuore, in amore, si sa, non conosce alcuna ragione.
A presto Terra Nostra
Francesca e Valentina

ARTICOLO SCRITTO DA: FRANCESCA MARRA

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